Lavorare per una governance globale delle migrazioni

Nei giorni scorsi la sentenza del giudice James Robart ha sospeso l’ordine esecutivo con cui il presidente Donald Trump bloccava l’ingresso negli USA per 90 giorni agli immigrati provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana (Iraq, Siria, Libia, Iran, Sudan, Somalia e Yemen). La decisione di Donald Trump è stata una presa di posizione drammatica che sconvolge tutti i processi migratori, negli ultimi mesi anche i dibattiti politici negli stati europei hanno evidenziato una lettura pessimistica dei flussi migratori. Forse la politica dovrebbe sviluppare un approccio globale in grado di governare i processi migratori, affrontarne le cause, ridurre gli effetti negativi e valorizzare gli aspetti positivi. Sarebbe impensabile affrontare tutti i problemi costituiti dalle migrazioni forzate, la gestione dei flussi regolari e l’aumento della popolazione nell’Africa sub-sahariana solo come singolo paese senza avere collaborazioni a livello internazionale.

Fino a ora gli osservatori si sono concentrati sugli sbarchi, sugli arrivi dei richiedenti asilo e sui flussi forzati che hanno messo in crisi e in discussione l’intero sistema di gestione. I dati dell’Agenzia europea Frontex mostrano che nel 2015 le intercettazioni a un confine esterno dell’Unione Europea sono state 1,8 milioni. Durante il 2016 i numeri si sono molto ridotti, grazie all’accordo con la Turchia che ha portato a una drastica riduzione delle intercettazioni nel Mediterraneo orientale. Attualmente la situazione più critica appare quella italiana, dove nell’ultimo triennio si è registrato un vero e proprio salto dimensionale con 170 mila intercettazioni nel 2014, 157 mila nel 2015 e 173 mila fino a fine novembre 2016.

Questa forte crescita degli arrivi nell’Unione Europea di persone bisognose di protezione riflette in realtà il drammatico aumento delle migrazioni forzate per motivi politici o ambientali che si è registrato in tutto il mondo negli ultimi vent’anni. A livello mondiale, secondo l’UNHCR, il numero di persone bisognose di protezione è infatti passato dai 37,3 milioni del 1996 ai 63,9 milioni di fine 2015.

Questo andamento riflette gli avvenimenti e testimonia in maniera drammatica e impressionante l’incapacità degli attori coinvolti di trovare soluzioni politiche in grado di fermare i conflitti e di avviare processi di pace stabili e duraturi, unico modo per giungere a una drastica riduzione delle persone bisognose di protezione e dei flussi di richiedenti asilo. Di fronte a questi numeri, qualsiasi politica migratoria non può che rappresentare un modesto palliativo. Le situazioni qui descritte dovrebbero essere di pertinenza della politica internazionale che dovrebbe porre in cima ai propri obiettivi quello di ridurre il bacino che alimenta in tutto il mondo le migrazioni forzate.

Questi flussi rappresentano però solo una parte di un fenomeno molto più complesso. Infatti, per quanto riguarda le migrazioni europee, la crisi economica ha segnato la chiusura di un periodo di crescita eccezionale. Dal 2008 la crisi economica ha ridotto i flussi per lavoro e ha segnato una svolta importante nell’evoluzione del fenomeno migratorio.

Per analizzare i dati dei lussi migratori dobbiamo analizzare i dati demografici: i tassi di crescita dell’intera popolazione mondiale sono scesi dal 2% all’1% e tendono a diminuire ancora. Dal punto di vista demografico, la vera area problematica è attualmente rappresentata dall’Africa sub-sahariana, in cui nei prossimi 35 anni, secondo le ultime previsioni delle Nazioni Unite, si concentrerà quasi la metà di tutto l’incremento della popolazione mondiale. Si prevede ad esempio che nel 2050 la Nigeria raggiungerà i 400 milioni di abitanti, il Congo i 195 milioni e l’Etiopia i 188 milioni. L’Asia, che nel 2015 ha 4,39 miliardi di abitanti pari al 60% dell’intera popolazione mondiale, presenterà nei prossimi trentacinque anni aumenti più contenuti di quelli che presenterà questa parte del continente africano.

Pur con un apporto migratorio, nel prossimo futuro l’Europa vedrà diminuire di 31,6 milioni la popolazione totale e di 86 milioni la parte in età lavorativa, in questo processo l’Italia darà un contributo rilevante con perdite di 3,3 e 7,3 milioni. Senza l’apporto delle migrazioni lo scenario disegnato dalla Population Division delle Nazioni Unite è ancora più netto, con una perdita della popolazione in età lavorativa di 112,3 milioni in Europa e di 11,7 milioni in Italia. Questi dati mostrano come immaginare un futuro dell’Europa e dell’Italia senza immigrazione sia del tutto irrealistico e come il potenziale serbatoio dei futuri flussi sia destinato a crescere considerevolmente in un’area che all’Europa è relativamente prossima.

La crisi dei rifugiati, le dimensioni consistenti dei flussi per altri motivi (lavoro, famiglia, libera circolazione, studio ecc.) e il sostegno allo sviluppo e alla crescita dell’Africa sub-sahariana sono tre elementi che dimostrano quanto sia importante la nascita di una gestione internazionale dei processi migratori che abbia l’obiettivo di ridurre l’impatto e cercare di usarne al meglio le potenzialità. Da tutto ciò non ci si potrà dimenticare l’accoglienza e l’integrazione che sono e saranno i principali elementi costitutivi di un processo sociale come quello migratorio che non si risolve erigendo muri. Bisognerà abbattere tutti i muri e collaborare, lavorare insieme per essere cittadini e cittadine del mondo con pari diritti e doveri, rispettando ognuno le proprie diversità.

Servizio Comunicazione Patronato ACLI Alessandria – Anna Serafini