Ius soli, ACLI e le seconde generazioni

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Comunicato stampa ACLI – Ius soli, ACLI: le seconde generazioni in Italia sono “dinamiche e integrate”. Oltre il 63% è inserito nel mercato del lavoro

Il 63,8% dei ragazzi di seconda generazione (G2) nati da genitori stranieri e residenti in Italia dichiara di essere inserito nel Mercato del Lavoro (MdL). Tra loro, in particolare, il 24,7% ha un impiego stabile, il 65,8% attualmente ha un lavoro precario, mentre il 9,6% dichiara di avere intrapreso un percorso di avviamento al lavoro (Servizio Civile, formazione professionale, etc…). Da notare come, in tale contesto, il 66% dei giovani italiani dichiara di essere inserito nel MdL al 71,6% con un impiego stabile, al 14,7% con un impiego precario e al 13,7% un percorso di avviamento al lavoro.

È quanto emerge dal focus “Le seconde generazioni in Italia: integrate e dinamiche” presente nella ricerca dell’Iref (Istituto ricerche educative e formative) dal titolo “Il ri(s)catto del presente”. Lo studio è stato realizzato dalle ACLI nazionali su un campione di 2500 ragazzi di età compresa tra i 18 e i 29 anni e verrà presentato nel corso della 50° edizione del convegno nazionale degli studi delle ACLI che si terrà a Napoli dal 14 al 16 settembre.

Dal focus ACLI emerge che il 50% dei ragazzi G2 svolge o ha svolto in passato un doppio lavoro. In tale ambito il 40,9% dei ragazzi italiani con la laurea e il 30,8% dei non laureati ha dichiarato altresì di svolgere o di avere un doppio impiego. Interessante notare come tra i ragazzi italiani che vivono in famiglia, sia con diploma di laurea che con un titolo di studio inferiore, la percentuale scenda al 39,5% e al 31,8%..

“Sul tema del lavoro e degli immigrati – dichiara Roberto Rossini, presidente nazionale delle ACLI – in questi ultimi mesi abbiamo assistito ad un dibattito in cui ha dominato la cosiddetta post verità. Per influenzare l’opinione pubblica, ai dati oggettivi sono state preferite notizie che non avevano alcun fondamento reale. I risultati della ricerca Iref, invece, sono un primo tentativo di ristabilire la verità: il lavoro può essere un importante strumento d’integrazione per tutti i ragazzi nati nel nostro Paese e figli di genitori non italiani. È un messaggio che ci piace lanciare proprio in occasione del nostro incontro nazionale di studi dedicato ai giovani e al lavoro. Perché il valore del lavoro è anche quello di costruire una società più equa, sostenibile e solidale”.

C’è sostanzialmente un forte impulso per creare le basi per una robusta e definitiva integrazione nel nostro Paese. Si pensi che il 32,8% degli intervistati G2 dichiara che il proprio impiego è in continua progressione. Nel confronto con i ragazzi italiani la percentuale è diversa. Infatti, il 30,3% di chi ha conseguito la laurea e vive solo dichiara di avere una carriera in crescita, chi vive in famiglia si attesta al 23,9% (per gli under 29 italiani senza diploma di laurea: chi vive da solo 20,7%, chi vive in famiglia 25,4%).

A questo, però, occorre abbinare anche una condizione familiare che è spesso critica. Infatti, il 63% dei ragazzi di G2 dichiara che in passato un membro della propria famiglia ha perso il lavoro e oltre il 90% ammette di convivere con i problemi economici del proprio nucleo familiare. Il confronto, in tale ambito, con i ragazzi italiani è radicalmente diverso con percentuali sensibilmente più basse. Il dato che più si avvicina ai G2 è quello degli italiani non laureati che vivono per conto proprio che si attesta al 77,4%.

D’altronde dal focus emerge che le famiglie dei G2 sono al 48,2% monoreddito e solo il 32,4% possiede un doppio reddito. Ma nonostante questo dato i ragazzi G2 dichiarano al 21,7% di essere completamente autonomi dal punto di vista economico. Un segno importante di un impegno per una piena integrazione che si va a sommare allo sforzo del 46,9% degli intervistati dei G2 che si dice quasi autonomo.

Anche in questo caso le percentuali dei G2 e degli italiani sono sensibilmente differenti. Un dato tra tutti quello dei ragazzi italiani laureati che vivono per conto proprio che dichiarano per il 62,9% che la propria famiglia ha un doppio reddito e per il 55,6% di essere autonomi economicamente.

Il Focus ACLI evidenzia anche come il 40,7% dei G2 siano impiegati in professioni legate al commercio o ai servizi, il 27,2% in professioni esecutive nei lavori di ufficio, il 19,8% in professioni tecniche, l’8,6% sono operai o impiegati in attività professionali non qualificate e solo il 3,7% in impieghi ad alta specializzazione dato molto vicino a quello raggiunto dai ragazzi italiani senza diploma di laurea (5,7% di chi vive per conto proprio e il 4,6% di chi vive in famiglia). Discorso a parte per gli italiani under 29 con la laurea che dichiarano di svolgere una professione con elevata specializzazione per il 33,3% (vive da solo) e al 27,1% (chi vive in famiglia).

I dati della ricerca, inoltre, evidenziano che oltre l’82% dei G2 sono propensi al lavoro in deroga. Valore che si avvicina anche a quello dei ragazzi italiani: tra chi vive da solo il 77,7% dei laureati e l’84% dei non laureati; tra chi vive in famiglia il 75,3% dei laureati e il 78,9% dei non laureati.

“Nel nostro paese vivono 800.000 ragazzi di seconda e, ormai, anche di terza generazione – aggiunge Antonio Russo, responsabile nazionale welfare delle ACLI, commentando anche le polemiche seguite alla mancata calendarizzazione dello Ius soli nei lavori del Senato -. Sono italiani di fatto, purtroppo non di diritto. Riteniamo indispensabile una riforma della cittadinanza. Una decisione contraria sarebbe un errore di miopia storica”.

Tornando alla ricerca, per una buona parte del campione non c’è modo di difendere il proprio posto di lavoro, almeno nello scenario attuale e usando le strategie tradizionali della mediazione. Ci sono però altre forme di auto-tutela: comportamenti che assecondano le esigenze dei datori di lavoro e “potrebbero” garantire il mantenimento del posto di lavoro. Si tratta di deroghe, più o meno volontarie, rispetto agli standard normativi e contrattuali: lavorare di più, rinunciare alle ferie, essere disposti a lavorare anche nei festivi e così via, sino ad arrivare alla situazione più estrema, al completo svuotamento del rapporto di lavoro, in favore di un mero scambio tra prestazione e denaro, ovvero lavorare “in nero”. Il tutto per mantenere il lavoro o, dal punto di vista dell’impresa, tenere alta la produttività.

Ufficio stampa e comunicazione ACLI – Vincenzo Mulè

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